IL
MOSTO
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Sino agli anni ’50
in Sicilia era il vino ad
essere commercializzato piuttosto che l’uva.
Molti produttori possedevano gli attrezzi per la pigiatura. Essi
consistevano nel "paraturi", un ampio tino provvisto
di fori laterali, nel quale si raccoglieva il mosto della pigiatura,
e nel "tavuleri", composto da una serie di tavole
unite fra loro, la cui superficie copriva i tre quarti di quella
della bocca del paraturi.
L’uva giunta nel magazzino veniva via via posta sul tavuleri,
dove due o più uomini la pestavano coi piedi calzati da vecchie
scarpe; il succo scendeva nel sottostante paraturi.
L’operazione successiva vedeva l’eliminazione della vinaccia
"cu ru agni" (con un piccolo forcone a due denti)
e la raccolta del mosto con la cannata (grosso boccale); il mosto
veniva versato nelle botti attraverso "u mutu i lignu",
un grande imbuto con tre piedi adatto ad essere posto sulla sommità
della botte.
La pigiatura poteva essere eseguita anche nei "tina",
recipienti di legno alti alcuni metri la cui parte superiore fungeva
da tavuleri; i "pistatura" con le scale si portavano
in cima e, tenendosi saldamente a corde che pendevano dal tetto,
pestavano l’uva spingendo la poltiglia dentro il tino. Nella
parte inferiore di questo c’era "a purtedda",
da cui si spillava il mosto in fermentazione.
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